Emergenza Disdegno: rappresagia poetica dopo l’ultimo caso di Violenza femminile

Emergenza disdegno: rappresaglia poetica dopo l’ultimo caso di stupro a Palermo

Una nuova chiamata alle armi per affrontare il nemico della violenza contro le donne. Il 24 Agosto, alle 18.00, saremo all’Orto di Casa Betania per diffondere parole contro la violenza. Una lotta che portiamo avanti lungo la strada del disdegno. 75 violenze e femminicidi nei primi otto mesi del 2023. C’è qualcosa di tetro sul tetto del mondo, il sole sta sorgendo contro di noi.

Alcuni testi che saranno letti durante l’azione di strada e che riportiamo perché necessitano di essere condivisi e diffusi

Il piacere maschile …e la magistratura di PierAnna Pischedda, psicologa

Stanno facendo discutere, in questi giorni, le motivazioni di una sentenza che, in appello, ha assolto un giovane dall’accusa di violenza sessuale. Cercheremo, ancora una volta, di capire quello che è successo e, nel contempo, di entrare nella psicologia di chi ha scritto le motivazioni “incriminate” (passatemi il gioco di parole). Il nostro ordinamento (garantista), come tutti sanno, prevede tre gradi di giudizio, in modo da limitare al massimo (almeno in teoria) gli errori giudiziari e non è infrequente che il secondo grado ribalti il giudizio del primo. Fin qui, niente da ridire, però, se le motivazioni della sentenza sono quelle che abbiamo letto sulle varie testate giornalistiche, abbiamo un problema, un gravissimo problema. “Della violenza non vi è certezza” I giudici di secondo grado, hanno ritenuto – in maniera opposta, ai colleghi del primo– che il comportamento della presunta vittima non fosse stato adeguatamente chiaro e deciso, a tal punto da trarre in inganno il suo accompagnatore. Nello specifico, si “rimproverano” alla ragazza, alcune azioni e non (“si è fatta accompagnare in bagno…non ha chiuso la porta…si è fatta porgere i fazzoletti”), che avrebbero dato al giovane l’autorizzazione ad “osare”.

Non solo, ma una volta subita “l’avance” da parte del giovane, la ragazza non sarebbe stata in grado – in quanto “sbronza” e “assalita dal panico” di gestire (si, avete letto esattamente) la stessa. Prima di andare avanti, non vi ricorda niente questa frase? A me, si. Mi ricorda quello che molte mamme si sentono sistematicamente dire da Assistenti sociali, colleghi/e Ctu, Avvocati della contro parte e Giudici, quando le si accusa di non sapere gestire le inadeguatezze dei padri (magari violenti) e di non “aiutarli” abbastanza a superarle, per cui, se il legame del padre inadeguato con i figli non è buono o inesistente, la colpa è della madre.

Questo, per dire che c’è una logica e una trasversalità in queste aberrazioni: la colpevolizzazione sistematica della vittima a vantaggio dell’agente reato o del padre

inadeguato. Lo stato “confusionale” (per usare un eufemismo) del collegio giudicante è imbarazzante e dovrebbe – in primis – essere una preoccupazione per l’organo di autocontrollo della categoria.

Non si sta parlando di un gruppo di amici che, dopo la quarta birra (o, se preferite, mojito) e tra un frizzo e un lazzo, si autoassolve. Trattasi della classe giudicante che decide delle vite dei cittadini, il cui potere dovrebbe essere (per la sicurezza e per le famose garanzie) continuamente monitorato.

Ma entriamo nel merito. “Atteggiamenti interpretati sicuramente dall’imputato come un invito ad osare” Secondo i giudici, una ragazza che si fa. Accompagnare per andare a vomitare (cosa puntualmente avvenuta), lascia la porta del bagno socchiusa e si fa passare i fazzoletti dal suo accompagnatore (di cui, evidentemente, si fida), avrebbe dato un segnale di via libera “ad osare”. Forse, i suddetti, non si sono mai ubriacati, forse non hanno mai saputo come ci si sente e quanto poco si sia interessati a “lanciare” segnali di disponibilità, con il vomito (e la nausea) che cerca di risalire dallo stomaco su per l’esofago. Il verbo “osare”, in questo contesto, è illuminante rispetto alla concezione del sesso da parte di questi signori. In realtà, tale affermazione implica che per un atto sessuale fra due persone (meglio specificare, visti i chiari di luna) non si considera necessario il consenso di entrambi, la condivisione del desiderio e del piacere, ma sia sufficiente “l’occasione fa l’uomo ladro”. Tradotto: “la ragazza con cui sto passando la serata ha lo stomaco in subbuglio. Quale migliore occasione, dal momento che – essendo sbronza – mi ha chiesto di accompagnarla in bagno…e ha anche lasciato (non certo per farsi aiutare in caso di bisogno) la porta socchiusa!”. Ora, posso anche concordare che il pensiero del nostro tombeur de femme sia stato esattamente questo, anzi lo è stato di sicuro, il problema è che puzza di reato lontano un km…tranne per chi i reati li dovrebbe perseguire.Ma non è neanche questo il punto. Il punto è, invece, che per una significativa percentuale di maschi (e visti i numeri della prostituzione e dei reati sessuali, la maggioranza) il rapporto sessuale non prevede il consenso, tantomeno il piacere dell’altra parte. L’atteggiamento predatorio, tristemente conosciuto e sdoganato dalla cultura corrente come una “caratteristica” maschile, altro non è che il tentativo di mistificare la realtà e giustificare un pensiero ingiustificabile: il sesso è un’attività la cui mission è la soddisfazione di bisogni fisiologici personali. Ergo, consenso, desiderio e piacere reciproco, possono essere anche contemplati (nei film) ma non sono una “conditio sine qua non”. Il piacere procurato alla partner, eventualmente, è una vanteria da spendere nello spogliatoio e nelle cene per soli uomini. Ma ritorniamo ai giudici.

Quando si fanno i concorsi pubblici per le forze dell’ordine e per l’esercito, i partecipanti – per ovvie e incontestabili ragioni – sono chiamati a superare una batteria di test di personalità. Questo, INCREDIBILMENTE, non accade, per la Magistratura. Per cui, potremmo ritrovarci ad essere giudicati, inquisiti, indagati, da personalità non adatte a quel ruolo, con problemi personali-familiari-sociali identici a quelli (e quindi, conflitto di interesse) per cui sono chiamati ad emettere sentenze che segnano per sempre la vita delle persone. Per dire che, lette le motivazioni, l’esigenza di sapere dove e come questo collegio giudicante si è formato e se è psicologicamente adeguato, è doverosa. Doverosa e urgente, dal momento che si avalla una visione predatoria del sesso; una condizione di difficoltà diventa un’occasione (e non un’aggravante); il consenso viene rappresentato da una porta socchiusa; una condizione di difficoltà diventa un’occasione (e non un’aggravante); il consenso viene rappresentato da una porta socchiusa; essere ubriaca e spaventata diventa una colpa: Perché, l’impressione di avere a che fare con un gruppo di adolescenti-casualmente Giudici, che passa i pomeriggi su porn hub a fantasticare su ridicole esibizioni pensando che corrispondano – anche – al desiderio e al piacere femminile, è forte, molto forte.

Tutto questo non è più tollerabile

femminicidioinvita@journalist.com

Stupri di gruppo, violenze sessuali, molestie e femminicidi: la calda estate italiana. Ci uniamo alle compagne di Nudm Palermo che sono scese

in piazza per gridare: ti rissi no! (Ti ho detto no) e per dimostrare al mondo intero che nessuna donna é sola! Ci siamo già espresse sulle dinamiche dello stupro di gruppo e che ancora oggi, anche vista l’età degli stupratori, ribadiamo che l’educazione sessuale, al consenso e all’affettività nelle scuole, nei centri giovani, nei luoghi di aggregazione, é la base per iniziare ad affrontare la violenza di genere.

Sappiamo che COME DONNE NON SIAMO MAI AL SICURO, ma non siamo noi a doverci limitare. Addossarci la responsabilità di capire con chi stiamo uscendo, di vestirci in un certo modo, di frequentare determinate zone, non fa altro che rinforzare la dinamica da senso di colpa deresponsabilizzando totalmente gli uomini che commettono violenza. Rifiutiamo dunque il pensiero per cui sono le donne che si mettono in pericolo! Non ci stiamo! Noi dobbiamo essere libere e sicure ovunque decidiamo di andare. La nostra sicurezza non dipende dalla presenza delle Forze dell’Ordine, la maggior parte delle violenze avviene in casa o da persone comunque conosciute da chi la subisce. Vogliamo una rivoluzione culturale perché é il sistema che perpetra violenza, sessismo, razzismo e omolesbobitransfobia.

LO STUPRATORE NON É MALATO, É IL FIGLIO SANO DEL PATRIARCATO!

NON UNA DI MENO – MILANO

La violenza di Palermo poteva essere evitata. Ancora brutale e feroce violenza sulle donne. Palermo: l’ultimo episodio di una lunga serie di violenze e femminicidi (75 nei primi 8 mesi del 2023) lascia rabbia dietro di sé, distruzione, ma anche sgomento e indignazione. Certo è che la tragedia di Palermo è la fotografia di una parte della realtà che denunciamo, subiamo e condanniamo ogni giorno. Uno stato e una giustizia che si rivelano ancora incapaci di condannare e contrastare la violenza di genere, e troppo spesso addirittura di riconoscerla come tale. Così la vittima è vittima due volte: in primis perchè è deumanizzata in sacrificio alla conferma di potenza e virilità dei carnefici, secondariamente perché la società che dovrebbe difenderla la disconosce, non la sostiene e non le rende giustizia oltre a non essere in grado di educare i propri figli. La violenza di Palermo, così come molte altre, poteva essere evitata. Animali, mostri, così in moltə li definiscono. È più facile demonizzare i singoli, considerarli un problema in quanto una devianza dalla normalità, ma sarebbe più lucido chiamarli ragazzi, perché è questa la realtà: sono i figli di una società patriarcale e machista e non delle eccezioni problematiche. Sono patriarcali e machiste anche le reazioni che leggiamo nei commenti alle notizie online. Le richieste di carcere a vita, castrazione chimica, occhio per occhio, così come lo scaricare la colpa sulle famiglie, sulle madri, sono tutte reazioni che evitano di guardare in faccia le nostre responsabilità, la normalizzazione della cultura dello stupro e la complice indifferenza. Ciò che è davvero necessario, ogni giorno, è osservare la cultura distruttiva machista in tutte le sue esternazioni, condannarla e combatterla. Ribaltare tutto di questo sistema che sorprende (per poco, solo perchè è disumano) per la sua incompetenza e per la sua lontananza, per la sua natura ancora esattamente patriarcale e machista. Ciò che è necessario è non stare in silenzio, non assecondare chi vorrebbe convincerci che il problema non esista, che non sia sistemico e radicato. Portiamo solidarietà, amore e rabbia a tuttə lə sorellə vittime di questo sistema.

Non siete solə.

NON UNA DI MENO – GENOVA

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